Hackerare i dispositivi medici connessi si può: uno studio ne previene i rischi
Alla Purdue University si è progettato uno scudo contro gli attacchi hacker ai dispositivi medici connessi.
Dopo “L’Internet delle cose” possiamo dire di aver intrapreso anche la strada verso “L’Internet del corpo”: pacemaker, smartwatch, passando per i Google Glass di recente progettazione fino ad includere qualsiasi tipo di visore di realtà aumentata, sono numerosi i dispositivi a stretto contatto con il corpo umano, collegati alla rete e per questo in grado di ricevere e inviare verso l’esterno segnali elettromagnetici che potrebbero essere intercettati dagli hacker.
Su questo hanno lavorato gli ingegneri della Purdue University, pubblicando uno studio in cui affermano di essere riusciti a progettare un metodo in grado di schermare i possibili attacchi hacker su questi dispositivi a stretto contatto con le nostre informazioni biologiche. Sfruttando l’ottima conducibilità elettrica del corpo umano, gli impianti medici nel nostro corpo registrano in continuazione informazioni relative allo stato di salute, comportandosi come veri e propri computer collegati direttamente alle funzioni vitali. E come ogni computer, anche questi impianti potrebbero essere a rischio hacking, intercettando i segnali e le informazioni inviate dal nostro corpo grazie alla connessione internet: in questo modo, hackerare il pacemaker o la pompa per insulina e potenzialmente uccidere non sembrerebbe solo uno spunto fantascientifico.
Per ora non è mai avvenuto, ma gli esperti stimano che potrebbe accadere nel giro di dieci anni. Per scongiurare questo potenziale pericolo, oggi, un gruppo di ricerca negli Stati Uniti ha elaborato una strategia per aumentare la sicurezza, attraverso un dispositivo elettronico che fornisce una sorta di scudo protettivo. Finora, per esempio, abbiamo utilizzato la tecnologia bluetooth per inviare segnali sul corpo e intorno al corpo. Nel caso di una persona con un pacemaker che comunica con uno smartwatch, questa comunicazione avviene attraverso una rete wireless. Il segnale elettromagnetico inviato viaggia attraverso il corpo, dato che i tessuti e i fluidi corporei sono ottimi veicoli di questo segnale, e si propagano anche all’esterno, per alcuni metri.
“Stiamo collegando sempre più dispositivi alla rete del corpo umano, da orologi intelligenti e tracker di fitness a display di realtà virtuale montati sulla testa”, ha affermato Sen, specializzato in sistemi di rilevamento e comunicazione. “I fluidi corporei trasportano i segnali elettrici molto bene. Finora, le cosiddette “reti di area corporea” hanno utilizzato la tecnologia Bluetooth per inviare segnali sul e intorno al corpo. Queste onde elettromagnetiche possono essere rilevate entro un raggio di almeno 10 metri da una persona.
Così, in un futuro ipotetico potrebbe avvenire che in questo spazio si inserisca un hacker che servendosi del segnale trasmesso dal corpo potrebbe sferrare un attacco informatico.
Gli autori dello studio includono Shreyas Sen, un assistente professore di ingegneria elettrica e informatica presso Purdue, e i suoi studenti, Debayan Das, Shovan Maity e Baibhab Chatterjee. L’idea degli scienziati è di ridurre l’estensione esterna del segnale, facendo sì che rimanga aderente (ma non interno) al corpo, un po’ come un vestito su misura.
Per raggiungere questo scopo i ricercatori hanno sviluppato un dispositivo, basato su un particolare circuito elettrico. Tale sistema fa sì che il segnale rimanga intorno al corpo, dentro la distanza di pochi centimetri. Questo dispositivo, che funziona con un’energia 100 volte inferiore rispetto a quella delle comunicazioni bluetooth, mantiene il segnale dello smartwatch attaccato al corpo umano, che viene utilizzato come un conduttore naturale. In questo modo, anche se il segnale non si propaga all’esterno, può però diffondersi, seguendo la naturale linea del corpo, dalle orecchie alle braccia fino ai piedi.
Ciò è possibile attraverso un congegno che accoppia segnali nell’intervallo elettro quasi-statico, che è molto più basso sullo spettro elettromagnetico. Il gruppo di Sen sta lavorando con il governo e l’industria per incorporare questo dispositivo in un circuito integrato di dimensioni ridotte. Attraverso un orologio prototipo, una persona può ricevere un segnale da qualsiasi parte del corpo, dalle orecchie fino alle dita dei piedi. Anche lo spessore della tua pelle o dei tuoi capelli non fa davvero la differenza nel modo in cui porti il segnale, afferma Sen.
La sfida, inoltre, non è solo quella di mantenere questa comunicazione in prossimità del corpo, come spiega Shreyas Sen, coautore dello studio, affinché nessuno possa intercettarla, ma anche di raggiungere una maggiore larghezza di banda e un minore consumo della batteria. Intanto gli autori hanno dimostrato che in questo prototipo le onde rimangono localizzate all’interno di una distanza inferiore a 15 centimetri, mentre nella comunicazione tradizionale si diffondevano per 5-10 metri. Ora il gruppo di ricerca sta lavorando insieme alle istituzioni governative e alle aziende per incorporare questo dispositivo in un circuito minuscolo integrato nei dispositivi indossabili o impiantabili. L’idea è quella che si possano riprogrammare i dispositivi medici impiantati senza intervenire chirurgicamente.
Oltre a combattere gli attacchi degli hacker questa tecnologia potrebbe aprire le porte alla medicina bioelettronica a circuito chiuso, cui cioè dispositivi indossabili o impiantabili possano trattare diverse malattie croniche mediante l’invio di segnali elettrici. Un’altra ipotesi riguarda applicazioni neuroscientifiche come la generazione di immagini cerebrali ad alta velocità, il tutto in maniera sicura.
“Per la prima volta stiamo riuscendo a comprendere le proprietà di autodifesa e di conducibilità dei segnali del corpo umano. E questo è fondamentale per poter consentire una sorta di rete in grado di proteggere le informazioni importanti come lo stato di salute della gente” afferma Sen.
I risultati dello studio sono stati pubblicati su Scientific Reports.