Awhy, il chatbot intelligente e Prato come centro startup per il futuro
Un chatbot nato da Prato e accelerato nella Silicon Valley. E’ il percorso di crescita della startup Awhy, che vede come protagonisti i due giovani pratesi Arafin Nabil ed Emanuele Pucci, rispettivamente 27 e 26 anni, che insieme a Gianmarco Nicoletti (bolognese) hanno ideato un chatbot innovativo e che sognano di far diventare la loro Prato una community di startupper, senza mettere da parte il sogno americano. Già trenta clienti attivi, Awhy si sta consolidando sempre di più a livello italiano. Abbiamo intervistato Emanuele, ecco cosa ci ha raccontato.
Da dove nasce l’idea Awhy?
Inizialmente da Arafin Nabil che durante uno stage in un customer care di un’azienda si era accorto di un’opportunità: gli agenti ricevevano sempre le stesse domande, perché non automatizzare le risposte? Io mi sono unito a lui nel 2016 abbracciando questa “challenge” e ho aiutato la start up ad andare sul mercato con la prima proposta commerciale.
E il nome Awhy?
E l’acronimo di “As we help you” – che pronunciato in italiano suona come “Hawaii” e ci piaceva, perché rimanda all’idea che tu (azienda) lasci fare al chatbot le operazioni di customer care e puoi “andartene a rilassarti” al sole di Maui o Kawaii.
Nel 2019 a San Francisco, cosa vi ha portato quell’esperienza?
Con il Global Startup Program siamo stati accelerati dal Plug in Play di Sunnyvale. L’obiettivo era validare la nostra tecnologia e devo dire che a sorpresa, ci siamo accorti che tecnologicamente, eravamo “allineati” anche in un mercato avanzato come quello americano. Da quel momento quindi, ci siamo concentrati su execution e parte commerciale della nostra start up.
Di chatbot ce ne sono tanti in commercio, cosa differenzia il vostro?
Il nostro è sì un chatbot che risponde alle domande degli utenti, ma il focus grosso è sull’automatizzazione di operazioni come rimborsi, cambi merce, apertura ticket automatica. Cerchiamo di offrire una soluzione più a largo spettro. Non è infatti un chatbot da 20 euro al mese, i nostri clienti sono aziende enterprise che hanno progetti di automatizzazione complessi e trovano in noi la loro soluzione.
Com’è composto il vostro team?
Siamo 8 persone, tutti gli ingegneri sono giovanissimi su cui puntiamo e ci troviamo bene. Nel prossimo anno, vogliamo inserire persone più senior sia sulla parte tecnica che sulla parte commerciale per dare più “credibilità” alle aziende clienti, eliminando anche questa frizione.
Come ha impattato il covid la vostra startup?
In realtà, il Covid ha avuto un impatto positivo su Awhy. Abbiamo infatti, avuto un aumento delle richieste, le aziende in periodo di lockdown, hanno finalmente accelerato il loro processo di digitalizzazione e il nostro chatbot è andato incontro a questo bisogno. Abbiamo usato il Covid per proporre un chat bot che riprendeva le fonti ufficiali del ministero della salute: le persone lo hanno usato anche per domanda non strettamente correlate al coronavirus (come ad esempio: come avere il rimborso bici) e questo ci ha aperto la strada a un utilizzo del chatbot a 360 gradi.
Come vedi il futuro di Awhy?
Dal punto della tecnologia stiamo spingendo sull’automazione per renderla sempre più naturale, sempre più in ottica conversazionale. Vogliamo consolidarci in Italia per poi mettere un piede anche all’estero sempre tenendo in considerazione la Silicon Valley. L’idea è quella di mantenere gli ingegneri in Italia (molte start up usano questo modello) e di avere qualche decision-maker che lavora sui capitali e il sistema che offre la Silicon Valley, sfruttando i contatti già allacciati durante il nostro periodo di accellerazione a Sunnyvale. Inoltre stiamo lavorando con il Comune per far diventare Prato un polo start up importante e in questa direzione Awhy sta organizzando meetups, eventi, proprio per diffondere di più i temi legati alle start up e fare da precursori nella nostra città di origine.
Cosa consigli a chi vuole fare start up oggi?
Quello che vedo molto spesso è che ci si focalizza poco sul problema, pensando di più alla soluzione. Ci sono tantissimi problemi che ad esempio sono venuti fuori dal Covid, ci si dovrebbe concentrare su quelli e poi sulla loro soluzione. L’altra cosa è pochi sanno davvero cosa significa fare start up: bisogna mettersi in testa che non è un “gioco”, consiglio di lavorare a qualcosa per cui si ha davvero passione perché per i primi anni si faranno un sacco di sacrifici e si vedranno pochi soldi 🙂
(articolo a cura di Sergio Cerbone)