I periodi di prova sono da sempre stati considerati importanti, ma adesso le cose stanno cambiando
Cambiare lavoro non è una cosa che si fa a cuor leggero: c’è sempre troppa incertezza per quanto riguarda il contesto economico. Spesso infatti si sono sentite storie di colleghi passati a nuove aziende, per poi venire lasciati a casa nei primi giorni del nuovo lavoro. Questa costituisce tanto un’evidenza quanto una delle più grandi sfide per i datori di lavoro a caccia dei migliori talenti. Da quando però c’è stata la pandemia, le cose sono cambiate: la situazione attuale sta mettendo in discussione una delle clausole più ampiamente gettonate dei vincoli contrattuali: il periodo di prova, ovvero quel lasso di tempo all’inizio di un nuovo incarico lavorativo durante il quale un dipendente può essere licenziato, con un minimo o nullo preavviso, se ritenuto non idoneo a quel determinato ruolo.
I periodi di prova sono da sempre una costante e sono da sempre stati considerati importanti da entrambe le parti. Da un lato, aiutano i datori di lavoro a essere sicuri di aver fatto la scelta giusta durante il processo di selezione, permettendo loro di agire rapidamente qualora il nuovo assunto si rivelasse non adatto al ruolo. D’altro canto, per i dipendenti, è possibile lasciare l’azienda senza problemi nel caso in cui capiscano che quella posizione non è ciò che desiderano per la propria carriera, o se si verificano conflitti con i colleghi o se, semplicemente, il nuovo lavoro non rispecchia quanto era stato promesso. Ma naturalmente il periodo di prova lascia i dipendenti più esposti e vulnerabili. Il mondo del lavoro sta però cambiando ad altissima velocità. Aziende internazionali hanno annunciato di voler ridurre il numero e gli spazi degli uffici presenti nelle città.
Il 60% dei dipendenti non prenderà in considerazione un lavoro che offra meno flessibilità di quanta se ne disponga oggi. Quindi, è chiaro che il luogo e il modo in cui lavoriamo sta subendo la più grande trasformazione dai tempi della rivoluzione industriale. Tuttavia, non è soltanto il modo in cui lavoriamo, ma anche il modo in cui gestiamo la nostra carriera che sta conoscendo cambiamenti radicali. Un’altra sfida in questa “guerra dei talenti” è legata a quei dipendenti, soprattutto con un alto profilo professionale, che fanno richieste impensabili fino a solo pochi anni fa. E il messaggio per i datori di lavoro da parte di questa nuova generazione di dipendenti più fiduciosi nelle proprie capacità è semplicemente questo: se mi vuoi, voglio che tu mi voglia senza alcun dubbio e che ti impegni con me fin dall’inizio.
Così, mentre la pandemia continua e nuovi modi di lavorare e di assumere si consolidano, ciò che fino a ieri era visto come ‘normale’ e indiscusso, oggi è totalmente rimesso in discussione. La pandemia da COVID-19 ha evidenziato il fatto che il mercato, almeno per il momento, è in mano ai dipendenti. Oggi sono i dipendenti a condurre il gioco e a definire le carte in tavola, anche per quanto riguarda il periodo di prova. Di conseguenza, sicuramente si possono prendere in esame diverse opzioni, quali adottare adeguati processi di recruiting e tecnologie per essere sicuri di aver preso la migliore decisione possibile in termini di assunzioni; fare del recruiting marketing in modo da allargare il pool di candidati e avere più chance che uno dei talenti selezionati accetti il periodo di prova; oppure ridurre la durata del periodo di prova invece di rinunciarci completamente, magari offrendo poi benefit allettanti una volta completato con successo questo periodo.
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