L’intervista al presidente di Confagricoltura Lombardia
Nel corso dell’ultimo decennio l’agricoltura ha visto il susseguirsi di una serie di innovazioni che ne hanno cambiato profondamente i lineamenti e le tecniche produttive. La ricerca, l’innovazione tecnologica, la digitalizzazione, la raccolta e gestione dei dati, la blockchain sono stati i motori di questi profondi cambiamenti. Ma di tutto ciò il consumatore-cittadino non si è accorto e continua a crescere la richiesta di tecniche produttive più consapevoli e rispettose dell’ambiente. Quella che viene definita in modo forse un po’ troppo generico: agricoltura sostenibile. Ne parliamo con Antonio Boselli, presidente di Confagricoltura Lombardia.
“Il nostro settore, e non lo dico io ma il politecnico di Milano, è uno di quelli che ha maggiormente usufruito delle innovazioni tecnologiche legate alla digitalizzazione. Non per niente si parla di ‘Agricoltura 4.0, o di agricoltura di precisione’, oppure, analogamente di ‘Zootecnia 4.0 o di precisione’. È in corso di svolgimento una rivoluzione tecnologica paragonabile a quella della meccanizzazione di massa che si verificò nel dopoguerra ed ebbe il suo culmine tra gli anni ’70 e ’90. Si iniziò con la sostituzione del lavoro umano o animale per arrivare a ad avere una grandissima diffusione di macchine agricole e zootecniche praticamente in tutte le aziende: cavalli, asini e muli lasciarono il posto ai trattori e alle seminatrici e la mungitura manuale venne sostituta dalla mungitrice meccanica”.
Antonio Boselli intervista: il futuro dell’ambiente e della produzione agricola
Quindi una evoluzione continua?
Certo un miglioramento continuo dettato dal progresso della scienza, della ricerca e delle loro applicazioni in campo agro–zootecnico. In quegli anni era la meccanica avanzata a dettare le basi del cambiamento. Mentre oggi è l’elettronica. O meglio l’elettronica che si integra perfettamente con la meccanica: non per niente è stato coniato il termine meccatronica. Però c’è una differenza tra l’evoluzione che stiamo vivendo oggi e quella della seconda metà del secolo scorso. Allora l’imperativo era produrre. Produrre cibo di base, come ad esempio il latte. E materie prime per la produzione di alimenti trasformati, il latte per i formaggi e il grano per il pane o la pasta. Gli agricoltori avevano questa missione ed erano apprezzati e benvoluti per questo lavoro che serviva a soddisfare il bisogno primario della gente: sfamarsi. Oggi questo ruolo che è stato dominante per millenni è quasi passato in secondo piano. Oggi si bada quasi più agli aspetti legati all’ambiente e alle tecniche produttive. È una evoluzione del consumatore.
Allora è cambiato il ruolo degli agricoltori?
È decisamente cambiata la visione che si ha di noi, il nostro ruolo primario di produrre cibo, è stato dato per scontato, mettendo al primo posto altri valori. La nostra società è molto attratta dal cibo, dalla sua qualità dagli aspetti ludici del cibo, dalle sensazioni che questo procura. Basta guardare i numerosi programmi televisivi che prosperano sulla cucina. Ma troppo spesso si dimentica il ruolo dell’agricoltura nella produzione di alimenti e soprattutto che la nostra è una attività economica. Un litro di latte, di alta qualità e con tutte le garanzie igienico – sanitarie, costa 1,5 euro o anche 1,8 euro. Ma a noi che lo produciamo viene retribuito oggi 35-37 centesimi. Produrre qualità costa. E lo stesso consumatore magari per un jeans di qualità o firmato spende senza fiatare 200 euro. Fino alla fine del secolo scorso la salubrità di un cibo, così come oggi del resto, era garantita dai Servizi veterinari. E questo bastava. Oggi mettiamo in etichetta non solo i valori nutrizionali, ma anche le dichiarazioni di origine, quelle che riguardano il benessere animale e a volte anche informazioni sull’azienda che produce quel prodotto. Sono tutte informazioni, di filiera, che costano. Lo facciamo perché il consumatore vuole essere informato di più su ciò che consuma. Le esigenza sono cambiate.
Torniamo alle innovazioni tecnologiche in modo più specifico. Quali sono quelle più significative?
Sono quelle che ci consentono di svolgere il nostro lavoro in modo più semplice, veloce e meno costoso. Ad esempio le applicazioni del satellitare ai trattori per la guida assistita. Consentono alla macchina di andare molto più dritta e si può risparmiare fino al 15% dei passaggi in campo: significa una lavorazione più accurata e uniforme, ma anche un risparmio di tempo e di lavoro. Oppure vi sono applicazioni più avanzate che basandosi su rilevamenti di dati in senso reale, ad esempio durante le operazioni di semina o di concimazione, sono in grado di calibrare il rilascio di prodotto in funzione delle caratteristiche del suolo. Una tecnologia complessa basata sull’impiego anche dei satelliti. Oppure pensiamo all’uso dei droni che sono in grado di fornire una visione dall’alto delle crescita di un campo di mais e valutarla in tempo reale. Ma poi abbiamo importanti applicazioni anche in zootecnia. Si stanno diffondendo i robot di mungitura che consentono di limitare l’impiego di manodopera, uno dei veri fattori limitanti dello sviluppo in agricoltura. Ma non solo, connesso ad essi, grazie alla digitalizzazione, durante le operazioni di mungitura viene rilevata una serie di parametri fisiologici della vacca. Questi servono ad alimentare su base individuale la bovina ma anche per segnalare all’allevatore eventuali stati di sofferenza.
E con riferimento al rispetto dell’ambiente?
L’Italia è un paese deficitario quasi per tutte le materie prime da cui si derivano le nostre produzioni di pregio, legate al territorio, tranne che per le DOP. Dunque se il consumatore desidera consumare questi prodotti è necessario andare verso una “intesificazione sostenibile”, come è stata definita da alcuni docenti universitari. Con le nuove tecnologie, di cui abbiamo fornito qualche esempio, questo è possibile nel pieno rispetto dell’ambiente. Tenga conto che l’agricoltura è una attività per definizione “circolare”. E questa funzione si sta affermando ancora di più oggi. I cambiamenti climatici, ma anche la pandemia che ci richiamano a stili di vita più sobri stanno facendo emergere questo nostro ruolo. Vuole un esempio? Nella mia azienda agricola da otto anni non uso più un solo etto di concime chimico. Per la fertilizzazione dei campi impiego solo il digestato che auto-produco. Digestato che è lo ‘scarto’ della produzione di biogas, prodotto anche con l’impiego del liquame delle mie vacche, il quale biogas mi consente di produrre energia elettrica che impiego nella mia azienda agricola. E quella in eccesso dio cederla al gestore della rete. Non è economia circolare questa e produzione di energia da fonti rinnovabili? Un altro esempio: ci rivolgono accuse di “consumare” troppa acqua. Storie, con i nostri sistemi produttivi utilizziamo l’acqua che serve per le colture, ma poi la restituiamo al terreno, favorendo un microclima locale.
Come vede il futuro dell’agricoltura alla luce di tutto ciò?
Non male, ma con alcune precisazioni. La prima, la società deve essere consapevole di quello che gli agricoltori fanno. Non solo per la produzione di cibo di qualità, sano, genuino e a basso costo ma anche per il rispetto e la cura dell’ambiente e del territorio. Poi la ricerca deve proseguire ed essere più ascoltata, in particolare per la biologia molecolare in grado di assicurare con tecniche sicure il miglioramento delle specie di piante ed animali oggetto della nostra attività. Tecniche oggi già testate e disponibili ma che vengono osteggiate dalla politica. Infine è indispensabile dare un maggior spazio ai giovani. L’agricoltura che ho descritto è solo un assaggio di quella che potrà diventare nel futuro. Molto tecnologica e professionale: spazio ideale per i giovani che potranno anche avviare percorsi di studio affascinanti. Le nostre Università sono sul pezzo e in grado di dare una preparazione all’altezza”.
Ildebrando Bonacini
Per conoscere altre notizie sul futuro dell’alimentazione, clicca qui