Agricoltura sostenibile: l’Italia è ancora troppo indietro
“Occorre che la scienza italiana venga messa in campo”
Si è concluso con un appello al Governo perché la “ricerca scientifica italiana sulle biotecnologie verdi possa esser sperimentata in campo aperto” l’incontro organizzato dall’Associazione Luca Coscioni e Science for Democracy al Senato.
“Le nuove biotecnologie verdi pongono problemi che interessano leggi e politiche nazionali ed europee” ha detto Filomena Gallo, Segretaria dell’Associazione Luca Coscioni in apertura del convegno “fino ad arrivare agli obblighi internazionali. In Italia rappresentano un chiaro esempio di violazione del diritto della scienza, perché proprio come sugli Ogm anche sulle piante geneticamente editate non è possibile far ricerca in campo aperto. Allo stesso tempo sono anche un esempio di violazione del diritto alla scienza perché, mancando la sperimentazione, non è possibile immettere sul mercato prodotti sicuri facendo godere alle persone il diritto a poter beneficiare delle più recenti ricerche”. Gallo ha poi ricordato le lotte per un’agricoltura del futuro di Silvano Dalla Libera, iscritto da anni all’Associazione e scomparso all’inizio dell’anno.
Molte le criticità emerse dalle tre ore di dibattito, organizzato con il sostegno di EuropaBio, moderate dalla giornalista Anna Meldolesi a cui hanno partecipato Stefano Baldi, curatore dello studio di Nomisma che ha inaugurato l’incontro, il Professor Dario Frisio dell’Università Statale di Milano, Roberto Defez del CNR di Napoli, Vittoria Brambilla, biotecnologa milanese e Debora Piovan, imprenditrice e portavoce del gruppo “Cibo per la Mente”.
Secondo una prima ricerca prodotta da Nomisma emerge chiaramente che il posizionamento europeo dell’Italia per quel che riguarda la capacità di creare le condizioni per facilitare la creazione e diffusione di innovazione tra le imprese risulti essere in molti casi molto arretrato. Lo studio dei fattori abilitanti l’innovazione – risorse umane, sistema della ricerca, finanza e supporto, infrastrutture fisiche e digitali – evidenzia infatti come l’Italia sia il fanalino di coda nell’Unione europea per la percentuale di popolazione con un livello di istruzione terziario (25%) – alle spalle della Romania – e rispetto a un valore medio per l’UE di poco inferiore al 40%.
Il sistema della ricerca italiano deve quindi fare passi in avanti: il numero di co-pubblicazioni scientifiche internazionali per milione di abitanti in Italia risulta essere di circa 552, in Danimarca i valori sono quattro volte superiori. Una delle cause di questo divario è il frutto di limitati investimenti pubblici in Ricerca e Sviluppo pari allo 0,54% del PIL – la media UE è superiore allo 0,7%. L’innovazione si sviluppa e diffonde più rapidamente se avviene all’interno di un sistema con infrastrutture avanzate e anche qui l’Italia è uno dei fanalini di coda dell’UE in termini di numero di imprese che accedono ad internet con velocità oltre i 30 Mb/s (16%) e in posizione intermedia per quanto riguarda il rapporto tra i km di strade e ferrovie e la superficie totale (in Germania i sistemi di viabilità sono più estesi di circa il 60% rispetto all’Italia).
Nell’aprire il dibattito, Marco Cappato, Tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni, ha ricordato che “da decine di paesi iniziano ad arrivare studi che confermano la non pericolosità di queste nuove bio-tecnologie verdi, come CRISPR, e che le piante così prodotte potrebbero essere portatrici di straordinarie potenzialità per un’agricoltura sempre più eco-sostenibile. Una sostenibilità che unirebbe il rispetto dei diritti umani – il diritto alla scienza sui cui l’Associazione lavora da anni – col progresso tecno-scientifico. Una sostenibilità che andrebbe anche incontro alla biodiversità che l’ONU ci dice esser sotto un grave attacco in tutto il mondo e che consentirebbe un progresso che si potrebbe definire “democratico” perché perseguibile con minori costi rispetto a tecniche e prodotti che si conoscevano solo fino a pochi anni fa. Se la politica però non reagisce” ha detto Cappato “finalmente la scienza inizia a farsi sentire”.
La biotecnologa Vittoria Brambilla della Statale di Milano ha ricordato come “la comunità scientifica europea si sia mobilitata durante l’estate scorsa in reazione alla sentenza della Corte di Giustizia europea che ha equiparato le nuove tecniche di mutagenesi agli OGM è una novità a cui guardare con attenzione”. Si tratta di uno scenario, come ha ricordato Cappato, dove l’Associazione auspica un’unione laica tra il conoscere scientifico e la ‘disobbedienza civile’. Per consolidare questa alleanza, Cappato ha ricordato che negli ultimi mesi l’Associazione e Science for Democracy hanno organizzato delle merende CRISPR aggiungendole ai convegni in Parlamento, alle sessioni tematiche dei Congressi dell’Associazione, agli incontri coi Commissari europei per la ricerca e la salute e i Ministri dell’ambiente, della salute, della ricerca e dell’agricoltura.
Relativamente ad altri fattori “abilitanti l’innovazione in agricoltura”, lo studio di Nomisma ha segnalato un “quadro che non migliora di molto”, infatti “introdurre innovazione in azienda significa infatti detenere competenze, limitata avversione al rischio, un orizzonte di operatività di medio-lungo periodo e risorse economiche in grado di realizzare investimenti. Tutti questi fattori risultano limitati nel tessuto produttivo agricolo italiano; “solo il 6% dei conduttori agricoli italiani ha una formazione agraria completa contro una media UE dell’8%” – ha ricordato Stefano Baldi – “il 40% dei conduttori ha più di 65 anni di età e quindi un ridotto orizzonte di attività, le dimensioni fisiche ed economiche medie delle aziende (12 ettari e 43.000 euro di valore della produzione) non permettono margini di investimento rilevanti”.
Nomisma ha elaborato un vero e proprio indice originale e monitorabile nel tempo che, sulla base dei dati di performance produttiva e ambientale delle imprese agricole, permette di misurare il grado di innovazione del settore primario italiano in confronto agli altri Paesi Membri. L’indice mette a sistema indicatori di produttività delle colture, degli allevamenti, dei fattori di produzione e indicatori di sostenibilità ambientale. Il risultato – espresso con un indice da 0 a 100 – restituisce un quadro contraddistinto dalla leadership indiscussa dei Paesi Bassi (88), seguiti da Belgio (62), Germania (62) e Danimarca (56). L’Italia si colloca in perfetta media UE con un punteggio di 49. Lo studio affronta nel dettaglio anche la situazione del Mais e delle Pesche nettarine in Italia.
Il dibattito è stato concluso da Marco Perduca, coordinatore della piattaforma internazionale Science for Democracy con un appello al Governo “affinché chiarisca se e come intende adeguare le norme nazionali alla sentenza della Corte europea del luglio 2018, e individui quanto prima dei campi dove possano esser sperimentate le ricerche che oggi avvengono nei laboratori italiani”. Allo stesso l’Associazione si è appellata al Governo affinché i dati relativi all’investimento nella ricerca e sviluppo in materia di biotecnologie verdi possa esser più facilmente aggregabili anche al fine di poter consentire una migliore valutazione delle reali dimensioni del sistema e dei suoi finanziamenti. “Se queste richieste non verranno ascoltate troveremo il modo per affermare il diritto alla scienza sapendo che occorrerà disobbedire una legge proibizionista – come ha più volte fatto Giorgio Fidenato”.